Anno di realizzazione: 2008
Leggevo in quel periodo una raccolta di lettere tra Vincent e Theo Van Gogh. Di Vincent ho sottolineato nel libro alcune frasi, Theo ascolta, a volte replica e consiglia.
“… sai a cosa penso molto spesso? A quello che ti dicevo tempo fa. Che se anche io non riuscirò, sono convinto che ciò a cui ho lavorato verrà continuato. E allora che importa che sia io personalmente! Sono talmente convinto che la storia delle persone è come la storia del grano; se non ci seminano in terra per germinare, che cosa importa, ci macinano per diventare pane.”
Vincent Van Gogh – Saint Remy, settembre 1889, lettera al fratello Theo.
“Mi succede anche di parlare o di agire un po’ troppo rapidamente, quando invece sarebbe meglio pazientare. Penso però che anche altri possono fare simili imprudenze… Si tratta di cercare in tutti i modi di trarre un buon frutto anche da queste passioni. Per esempio, per nominarne una, ho la passione più o meno irresistibile per i libri, sento il bisogno continuo di istruirmi… proprio come ho bisogno di mangiare il pane. Tu puoi capire questo. Quando mi trovavo in un altro ambiente, un ambiente di quadri e di cose d’arte, sai bene che presi per quell’ambiente una violenta passione, che arrivava fino all’entusiasmo. E non me ne pento, e ancora adesso, lontano dal paese, ho spesso la nostalgia per il paese dei quadri.”
Vincent Van Gogh – Cuesmes, luglio 1880, lettera al fratello Theo.
“Mauve si offende del fatto che io abbia detto: «Sono un artista» - cosa che non intendo ritrattare, perché naturalmente, un significato aggiunto di questa parola è: «sempre alla ricerca, senza mai trovare». È precisamente il contrario del dire: «So, ho trovato».
Per quanto io sappia, il termine significa: «Sto cercando, sto lottando, ci sono dentro con tutte le mie forze».
Vincent Van Gogh – L’Aia, fine di aprile 1882, lettera al fratello Theo.
L’andamento della scrittura tra i due fratelli era un avvicinarsi e allontanarsi continuo, piccoli scatti avanti, indietro, spazi, silenzi e poi ancora parole. I riferimenti al pane, al grano, mi avevano molto colpita, avevano un calore, un profumo.
Quindi iniziai da lì a cercare. Mi era capitato, tempo prima, di cuocere del pane nel forno di un panificio, a Carloforte. Mi avevano fatto usare una carta da forno biancastra che si ingialliva nella cottura e vi rimanevano impresse le forme del pane. Feci raccolta presso alcuni panifici del paese: carte da forno più o meno usate, più o meno impresse, fragili e forti allo stesso tempo, riuscivano a reggere il calore del forno che agiva attraverso il pane come un torchio da stampa fa con la matrice. Sulle carte si leggevano stampe vive e profumate, le tracce di pane, biscotti, dolci: segni generati da materia viva, cibo, e calore.
Tenevo da tempo in un cassetto dello studio un mazzo di vecchie buste da lettera e il gioco fu quello di creare delle pieghe con le carte da forno in modo da poterci infilare le buste, ciascuna su un quadro diverso, un passo, un momento della scrittura tra fratelli.
Ai margini, inizio e fine, un materiale lavorato dal calore del sole, su cui le buste si posano. Accanto all’ultima solo il suo profilo disegnato a pastello bianco, poi il silenzio.
Marta Fontana
Carloforte, giugno 2019 |
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